LA RELAZIONE DIALETTICA TRA SERVO E PADRONE

LA RELAZIONE DIALETTICA TRA SERVO E PADRONE DALLA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO In che modo il signore si rapporta al servo? Il signore è la coscienza essente per se. La coscienza è per se in auanto mediata con se da un'altra coscienza. L'identita del padrone è mediata da quella del servo ed è a essa inevitabilmente correlata. Hegel afferma che il signore è la coscienza per sé, cioe liberta, emblema della coscienza indipendente solo in quanto mediata con sé da un'altra coscienza. Entrambi si rapportano all'altra coscienza, da cui ricevono la propria identita, e nello stesso tempo si relazionano mediatamente alle cose, agli oggetti del desiderio. In che modo il servo e il padrone si rapportano alla cosa? Il signore si rapporta mediatamente alla cosa attraverso il servo. Anche il servo, infatti si rapporta negativamente alla cosa e la rimuove anche se non può annientarla del tutto. Il servo può solo elaborare la cosa, trasformarla col proprio lavoro. Il rapporto immediato diviene per il signore la negazione pura della cosa, diviene quindi il godimento; cioè riesce adesso al godimento del signore. Il fallimento del desiderio era dovuto all'autonomia della cosa; adesso, invece, inserendo il servo tra la cosa e se stesso, il signore si conclude sillogisticamente solo con la non-autonomia della cosa, e quindi ne gode allo stato puro. Il lato dell'autonomia della cosa egli lo lascia al lavoro del servo. Quale paura ha provato il servo? Per la servitù, inizialmente, l'essenza è il signore. Ai suoi occhi, dunque, la verità è la coscienza autonoma essente per sé. La servitù ha in se stessa la verità della pura negatività e dell'essere per sé, in quanto ha fatto in sé esperienza di questa essenza. In altre parole, tale coscienza non ha tremato per questa o per quella circostanza, né in questo o in quell'istante: essa ha provato angoscia dinanzi alla totalità della propria essenza perché ha avuto paura della morte, cioè del signore assoluto. Il servo ha sperimentato il suo essere autocoscienza nella paura provata di fronte alla morte, che peraltro è il motivo per cui ha rinunciato alla lotta. Egli ha preferito perdere la propria indipendenza e libertà, pur di aver salva la vita. La paura, dunque, consente al servo, di fare esperienza della sua essenza più profonda, che è quella della "negatività", cioè della possibilità di sottrarsi all'oggettività, di annullare l'essere materiale, possibilità di cui la morte è la realizzazione estrema. In che senso il lavoro è formativo? Il sentimento della potenza assoluta in generale è invece la dissoluzione in se. Anche se la paura davanti al signore costituisce l'inizio della saggezza, la coscienza è qui per essa stessa, ma non è ancora l'essere per sé. In realtà, la coscienza giunge a se stessa mediante il lavoro. Il lavoro è desiderio tenuto a freno, è un dileguare trattenuto, e ciò significa che il lavoro forma e coltiva. Il rapporto negativo verso l'oggetto diviene adesso forma dell'oggetto stesso, e diviene qualcosa di permanente, proprio perché l'oggetto ha autonomia agli occhi di chi lo elabora. Questo termine medio negativo, cioè l'attività formatrice, costituisce nello stesso tempo la singolarità, il puro essere per sé della coscienza. Con il lavoro la coscienza esce fuori di sé per passare nell'elemento della permanenza. In tal modo la coscienza che lavora giunge a intuire l'essere autonomo come se stessa. Hegel riconosce tutto il valore del lavoro grazie a cui il servo impara a vincere gli impulsi sensibili e si autodisciplina. Nello stesso tempo, imprime alle cose che manipola una forma destinata a durare nel tempo che le sottrae al loro destino naturale. Si tratta dunque di un duplice processo di affrancamento del soggetto che si eleva sulla propria sensibilità e delle cose che, assumendo una configurazione autonoma, esprimono un nuovo contenuto spirituale. È in questo modo che il servo, divenendo consapevole del proprio valore e del proprio essere indipendente, poco per volta pone le basi per il rovesciamento della sua condizione. Hegel riconosce tutto il valore del lavoro, grazie a cui il servo impara a vincere gli impulsi sensibili, si autodisciplina e, dunque, si forgia. Nello stesso tempo, imprime alle cose che manipola una forma destinata a durare nel tempo, che le sottrae al loro destino naturale. Si tratta dunque di un duplice processo di affrancamento: del soggetto, che si eleva sulla propria sensibilità, e delle cose, che, assumendo una configurazione autonoma, esprimono un nuovo contenuto spirituale. E in questo modo che il servo, divenendo consapevole del proprio valore e del proprio essere indipendente, poco per volta pone le basi per il rovesciamento della sua condizione. In che modo la coscienza servile giunge alla consapevolezza di essere in sé e per sé? Il formare ha anche un significato negativo rispetto al primo momento, il momento della paura. In effetti, formando la cosa, la coscienza vede divenire suo oggetto la propria negatività, il proprio essere per sé, solo perché essa rimuove la forma essente opposta. Ora, questo negativo oggettivo è proprio quell'essenza estranea dinanzi a cui la coscienza servile ha tremato. Adesso invece la coscienza distrugge tale negativo estraneo e pone se stessa come negativo permanente e diventa quindi, per se stessa, un essente per se. La coscienza del servo riconosce in se stessa quei caratteri di libertà, negatività e indipendenza che aveva attribuito al padrone nel momento in cui si era sottomessa a lui, e li fa propri. La libertà, che era apparsa all'inizio come prerogativa del padrone (tesi) e che poi è stata conquistata dal servo con il suo lavoro (antitesi), alla fine risulta affermata come un valore universale (sintesi).

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